Il dropshipping o drop ship è un modello di commercio elettronico nato negli USA circa 10 anni fa e affermatosi più di recente dalle nostre parti. La differenza rispetto all’apertura di un negozio online tradizionale, sta nel fatto che il venditore non possiede fisicamente ciò che vende, ragion per cui non ha l’obbligo di gestire un magazzino. In buona sostanza, a differenza del MediaWorld di turno, il venditore è un mero intermediario, che cura il rapporto con l’acquirente, al quale però la merce sarà inviata da un fornitore (a volte può essere direttamente il produttore) che sta a monte.
È chiaro che un sistema così congegnato libera il venditore di alcune impellenze come quello dell’approvvigionamento delle scorte, la gestione delle giacenze, ma soprattutto l’imballaggio dei prodotti e la spedizione, che ricadono come dicevamo nelle competenze dei fornitori, detti anche dropshipper. I costi dei quali il venditore non può sollevarsi, però, sono quelli relativi alla realizzazione del negozio online e alla sua gestione, ossia della piattaforma e-commerce tramite la quale metterà in vetrina il proprio portfolio di prodotti e di tutto ciò che la sua apertura comporta.
Stiamo parlando della scelta di un dominio, l’acquisto di un hosting o un server, la piattaforma che ospiterà l’eShop, ma anche tutte le spese burocratiche legate all’apertura della partita Iva, agli obblighi fiscali, la parcella del commercialista etc. Chi vuole sposare il modello di dropship, insomma, ha sicuramente meno spese da affrontare rispetto a chi apre un negozio tradizionale, ma ha comunque delle spese. E chi non ha nemmeno un piccolo budget per avviare il suo business? Ebbene, si può avviare un’attività di questo genera anche senza partita Iva.
Dropshipping: cosa dice la legge italiana
La legge italiana sostanzialmente impone tre condizioni per l’apertura di una partita Iva per fare business, una quantitativa, una temporale ed uno qualitativa. Quella quantitativa è rappresentata dal limite dei 5.000 euro: se nell’anno solare svolgi un’attività occasionale che supera i 5.000 euro di fatturato, si è costretti ad aprire una partita Iva. Ma si è costretti a farlo anche nel caso in cui si superi un arco temporale: che si raggiunga o meno quella soglia, se si svolge un’attività di compravendita o la fornitura di un servizio per un periodo superiore ai 30 giorni, scatta l’obbligo della partita Iva. E non è tutto, perché vi è anche la condizione qualitativa: ovvero, se si svolge un’attività in maniera professionale o come unico lavoro, come può essere quella del commercio elettronico che implica la ricerca di fornitori e acquirenti, c’è l’obbligo di aprire una partita Iva, anche se si rimane sotto i 5.000 euro di introiti.
Come fare dropshipping senza partita Iva
Per fare dropship senza partita Iva, bisogna innanzitutto trovare il circuito giusto, perché non tutti offrono questa opzione. In Italia ci sono dropshipper ormai consolidati nel tempo e che possono vantare numerosissimi feedback positivi, ma non sempre si può aderire al loro modello di business senza aprire una partita Iva. Comunque sia, deve essere chiaro un concetto: anche se non si dovesse aprire una partita Iva, qualunque guadagno generato da qualunque tipo di attività, come può essere quella del dropshipping, deve essere comunque dichiarato al fisco italiano, perché i controlli sono ormai divenuti automatizzati, incrociano i dati con i conti bancari ed individuare appropriazioni indebite per lo Stato è diventato ormai un gioco da ragazzi.
Tra le community che consentono di aprire un negozio in dropshipping senza richiedere una partita Iva c’è E-Gaia, che si occupa di prodotti naturali e biologici che hanno tra l’altro un buon rapporto qualità prezzo. Una volta entrati in questo circuito, è possibile selezionare i prodotti che si vuole entrino nel proprio business ed esporli tra i propri scaffali virtuali. A questo punto, non si deve fare altro che pubblicizzare la propria attività, sfruttando la potenza dei social network e delle campagne pubblicitarie che Facebook e altri canali web consentono di programmare. Perché non è obbligatoria una partita Iva con E-Gaia? Perché dell’aspetto burocratico e amministrativo se ne occupa la stessa azienda, emettendo tanto di fattura al cliente che acquisterà i prodotti tramite i negozi dei venditori accreditati.
Tutti gli aspetti delle transazioni, in sostanza, sono gestiti dall’azienda: dalle procedure logistiche e gestionali, alla gestione dei fornitori, passando per il magazzino, gli ordini e le spedizioni che avvengono tramite corriere espresso. Nessun onere per il negoziante, dunque, che ha l’unico compito di pubblicizzare i prodotti e ampliare la potenziale clientela tramite i canali più disparati. Ovviamente, il cliente va anche “coccolato” e seguito durante le fasi della compravendita, anche se non si è diretti responsabili della transazione.
E-Gaia e la sharing economy
Insomma, si tratta di un dropshipping abbastanza “anomalo”, piuttosto si avvicina di più ad un’attività di promozione di prodotti basata sui principi della sharing economy. E-Gaia, nello specifico, ha lo scopo di promuovere prodotti naturali e cosmetici partendo con un approccio dal basso. Un sistema che vuole puntare sostanzialmente sul passaparola del terzo millennio, quello che non avviene più di bocca in bocca, bensì di bacheca in bacheca tramite i social network. E non è tutto, perché chi dispone di un blog o di un sito a tema, può anche promuovere il suo nuovo negozio di dropshipping tramite articoli promozionali, che a loro volta possono essere condivisi anche da altri utenti tramite i propri account social (Facebook, Twitter, Pinterest o Instagram), creando il classico effetto a catena.
E-Gaia puntualizza inoltre tramite il suo sito ufficiale di avere un meccanismo di selezione dei fornitori molto accurato. Sì, perché il successo di un negozio in drop ship è rappresentato proprio da chi fornisce i prodotti: se gli stessi non sono di qualità o sono manomessi, il business stenterà a decollare, con tutte le conseguenze del caso. Sullo stesso sito, inoltre, c’è anche un’area dedicata ai produttori che vogliono entrare a far parte del circuito di E-Gaia: per poter partecipare al business dall’altra parte della barricata, il processo prevede un contatto diretto con gli uffici dell’azienda che poi deciderà se ammettere o meno il produttore all’interno del proprio parco fornitori.